1 APRILE DI SANGUE, L'ULTIMO RUGGITO DEL LEON A SALO'
di Dan Morel Danilovich
Il popolo insorge in nome e per difendere San Marco, la storia negata, un sacerdote, uno dei tanti, a capo delle cernide, sconfigge i giacobini. i traditori sono i nobili locali e rischiano il linciaggio.
Gli abitanti di Maderno, Tuscano e Teglio, presero a loro volta le armi, e s'affrettarono a raggiungere i Marcolini di Salò. La cittadina era in quel periodo (come ora) un centro importante sul lago di Garda e godeva sotto la Repubblica di una vasta autonomia.
Governata da un podestà veneziano fu "democratizzata" il 28 marzo ma già il 29 qualcuno abbatté "l'albero della libertà" innescando immediatamente la sollevazione di altre cittadine.
Questo spiega l'immediata reazione giacobina. I traditori bresciani misero in campo, contro il paese una colonna di un migliaio di uomini. tra le cui file vi erano molti legionari polacchi, e truppa di linea francese, travestiti da "patrioti" bresciani (così amavano farsi chiamare, nel senso di "amanti della Patria) o da Cispadani.
Minacciando prima di ridurre quella contrada in un ammasso di ruderi, preferirono poi iniziare trattative per condurre gli abitanti alla resa.
Accortisi però i salodiani del tentativo di infiltrar le loro difese con l'inganno, come erano avvezzi a fare, i Marcolini aprirono il fuoco uccidendone e ferendone un certo numero. I Gicobini, infuriati per queste e altre perdite, convinti sempre di aver la vittoria in pugno, forti dell'arrivo di due cannoni, ripresero determinati l'attacco.
"Lo scontro fu cruentissimo, in quanto in alcuni punti si combatteva corpo a corpo e per la superiorità di numero e di mezzi dopo alcune ore pendeva dalla parte degli aggressori, malgrado la buona volontà dei difensori, che avrebbero dovuto soccombere, quando a decidere la sorte, intervennero, inaspettati, gli abitanti della Val Sabbia, vallata alpina bresciana.
Questi montanari, riunitisi a consiglio, secondo il loro costume, avean deliberato come un sol uomo di unir le loro sorti a quelle di Salò, e dei ottanta schiavoni delle compagnie sciolti del Reggimento Matutin di stanza a Bardolino, e che già affiancavano i salodiani combattenti."
Quelli della Val Sabbia affidarono il loro comando, inquadrati nelle cernide, a un sacerdote, Don Andrea Filippi parroco di Barghe. L'improvvisato comandante, informato dei combattimenti in corso a Salò diede prova di qualità strategiche insolite, e divisa la sua truppa in tre colonne, piombò sulle milizie giacobine da tre diverse direttrici.
Di fronte all'impatto furioso dei montanari, la rotta sei "patrioti" fu totale e disordinata. Stretti tr ai valligiani trionfanti e furiosi, e le acque del lago, dopo aver lasciato sul campo un gran numero di morti e feriti (72 caduti e 200 feriti) non rimase loro che arrendersi in maniera disonorevole.
Tale sconfitta praticamente decapitò l'intero movimento dei cospiratori, dal momento che tra i prigionieri "annoveravasi due Lechi, un Gambara, e non pochi rappresentanti delle famiglie più nobili e illustri di Brescia e Bergamo."
I prigionieri, circa 500, vennero condotti da Salò a Venezia passando per Verona tra due ali di folla inferocita.Così descriverà poi uno di loro, il Gambara:
"Passammo per mezzo di un popolo furibondo che c'insultava con fischiate, minacce, sputi e imprecazioni.. colà, come vili animali espostialla brutalità veronese passammo ogni sorta di patimenti. Laceri, e già in parte denudati, formammo gradito spettacolo a quella ciurmaglia."
Il popolo insorge in nome e per difendere San Marco, la storia negata, un sacerdote, uno dei tanti, a capo delle cernide, sconfigge i giacobini. i traditori sono i nobili locali e rischiano il linciaggio.
Gli abitanti di Maderno, Tuscano e Teglio, presero a loro volta le armi, e s'affrettarono a raggiungere i Marcolini di Salò. La cittadina era in quel periodo (come ora) un centro importante sul lago di Garda e godeva sotto la Repubblica di una vasta autonomia.
Governata da un podestà veneziano fu "democratizzata" il 28 marzo ma già il 29 qualcuno abbatté "l'albero della libertà" innescando immediatamente la sollevazione di altre cittadine.
Questo spiega l'immediata reazione giacobina. I traditori bresciani misero in campo, contro il paese una colonna di un migliaio di uomini. tra le cui file vi erano molti legionari polacchi, e truppa di linea francese, travestiti da "patrioti" bresciani (così amavano farsi chiamare, nel senso di "amanti della Patria) o da Cispadani.
Minacciando prima di ridurre quella contrada in un ammasso di ruderi, preferirono poi iniziare trattative per condurre gli abitanti alla resa.
"Lo scontro fu cruentissimo, in quanto in alcuni punti si combatteva corpo a corpo e per la superiorità di numero e di mezzi dopo alcune ore pendeva dalla parte degli aggressori, malgrado la buona volontà dei difensori, che avrebbero dovuto soccombere, quando a decidere la sorte, intervennero, inaspettati, gli abitanti della Val Sabbia, vallata alpina bresciana.
Questi montanari, riunitisi a consiglio, secondo il loro costume, avean deliberato come un sol uomo di unir le loro sorti a quelle di Salò, e dei ottanta schiavoni delle compagnie sciolti del Reggimento Matutin di stanza a Bardolino, e che già affiancavano i salodiani combattenti."
Quelli della Val Sabbia affidarono il loro comando, inquadrati nelle cernide, a un sacerdote, Don Andrea Filippi parroco di Barghe. L'improvvisato comandante, informato dei combattimenti in corso a Salò diede prova di qualità strategiche insolite, e divisa la sua truppa in tre colonne, piombò sulle milizie giacobine da tre diverse direttrici.
Di fronte all'impatto furioso dei montanari, la rotta sei "patrioti" fu totale e disordinata. Stretti tr ai valligiani trionfanti e furiosi, e le acque del lago, dopo aver lasciato sul campo un gran numero di morti e feriti (72 caduti e 200 feriti) non rimase loro che arrendersi in maniera disonorevole.
Tale sconfitta praticamente decapitò l'intero movimento dei cospiratori, dal momento che tra i prigionieri "annoveravasi due Lechi, un Gambara, e non pochi rappresentanti delle famiglie più nobili e illustri di Brescia e Bergamo."
I prigionieri, circa 500, vennero condotti da Salò a Venezia passando per Verona tra due ali di folla inferocita.Così descriverà poi uno di loro, il Gambara:
"Passammo per mezzo di un popolo furibondo che c'insultava con fischiate, minacce, sputi e imprecazioni.. colà, come vili animali espostialla brutalità veronese passammo ogni sorta di patimenti. Laceri, e già in parte denudati, formammo gradito spettacolo a quella ciurmaglia."
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