LE COMPLICATE ELEZIONI DEL DOGE

Si avvicinano le elezioni in Italia, e allora noi Veneti che amiamo la storia ricordiamo qui come si svolgeva l'elezione del nostro Doge. Anche su richiesta di alcuni lettori stranieri che ci seguono in twitter grazie al lavoro splendido del nostro collaboratore Lucio "Muvi" Furlan. Lo scopo di quelle procedure molto complesse era quello di eleggere il migliore "inter pares" che agisse nell'unico interesse del bene pubbico, e non di una  fazione ( o peggio ancora per il proprio tornaconto), come purtroppo succede spesso nelle democrazie moderne, e pare fuzionasse proprio bene. Ricaviamo la nota dal sito "Venipedia", l'articolo completo lo troverete al link sottostante. 

Il nuovo sistema di elezione

Nel 1268, alla morte di Renier Zen (1253-1268) fu approvato un nuovo e complesso sistema per l’elezione del doge, un meccanismo che rimase in vigore, senza sostanziali cambiamenti, fino alla caduta della Repubblica.
All’inizio delle operazioni preliminari al conclave, il consigliere più giovane si recava nella chiesa di San Marco e nominava “ballottino” il primo bambino tra gli otto e i dieci anni nel quale si imbatteva (la nomina fruttava automaticamente il grado di Notaio Ducale e il diritto di essere mantenuto agli studi). Il balotin del dose, come veniva familiarmente chiamato, aveva il compito di estrarre le ballotte, cioè le palle che si usavano per le votazioni. Contenute in un cappello di panno, erano tante quanti i membri del Maggior Consiglio. In trenta di esse veniva inserito un bigliettino con la scritta elector. In seguito vennero impiegate trenta palle d’oro mentre tutte le altre erano d’argento.

Il ballottino veniva bendato, estraeva le palle e le consegnava, una alla volta, ai membri del Maggior Consiglio che gli sfilavano davanti. I trenta a cui era stata consegnata una palla d’oro (trovar la bala d’oro ancor oggi a Venezia significa aver fortuna) non dovevano essere legati tra loro da vincoli di parentela nel qual caso venivano sostituiti.
A questo punto i non prescelti abbandonavano la sala e fra i trenta ne venivano sorteggiati nove. Questi nominavano quaranta membri che venivano ridotti per sorteggio a dodici e i dodici ne eleggevano venticinque che, sempre per sorteggio, erano ridotti a nove. I nove erano incaricati di scegliere quarantacinque elettori che un’ulteriore estrazione riduceva a undici. Gli undici sorteggiati eleggevano i quarantuno elettori del doge, ciascuno dei quali doveva ottenere almeno nove voti.
L’Eccellentissimo Quarantaun si riuniva in conclave a Palazzo Ducale e procedeva alla nomina del doge per la quale era necessario ottenere almeno venticinque voti e che doveva poi essere approvata dall’assemblea popolare.

La complicata procedura - l’elezione dei Quarantuno era il risultato di ben nove scrutini alternati a sorteggio - era stata adottata allo scopo di evitare qualsiasi forma di clientelismo. Il primo doge ad essere eletto con questo sistema fu Lorenzo Tiepolo (1268-1273) e la formula con la quale fu presentato al popolo (Questo xe missier lo Doxe, se ve piaxe) sancì la perdita d’autorità dell’assemblea popolare.
Il complicato ingranaggio fu celebrato anche dalla poesia popolare. Ecco come:
Trenta elegge il conseglio.
Di quei nove hanno il meglio;
questi eleggon quaranta;
ma chi di lor si vanta
son dodici che fanno
venticinque: ma stanno
di questi solo nove
che fan con le lor prove
quarantacinque a ponto
de’ quali undici in conto,
eleggon quarantuno,
che chiusi tutti in uno,
con venticinque almeno
voti, fanno il sereno
Principe che corregge
statuti, ordini e legge.

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