ASSISTENZA SOCIALE E SCUOLE GRANDI





L'ASSISTENZA SOCIALE, PATRIMONI IMMOBILIARI E STRATEGIE DI GOVERNO 

Quando le Scuole Grandi del XV °e XVI° secolo si trasformarono da confraternite dei mestieri e devozionali ad organi di Stato con poteri decisionali in materia di assistenza sociale.

Prendendo lo spunto dal blog "SAN MARCO NELLA SANITA' CURAVA TUTTI" è doveroso approfondire un altro aspetto e non di poco conto, quello delle politiche sociali veneziane, cioè dell'assistenza verso le famiglie bisognose, quando fu gestita dalle Scuole Grandi e non più dallo Stato.


Nel Rinascimento non esisteva alcuna forma pensionistica ma la Serenissima affermava, attraverso l'assistenza sociale, l'obbligo morale e cristiano di non abbandonare le fasce più deboli della popolazione de tera e de mar, venutesi a creare sopratutto dopo ogni pestilenza od ogni guerra con vedove, orfani, mutilati o chi, per vari motivi, aveva perso ogni bene che lo potesse sostenere.

festa di San Rocco, Canaletto, 1735

Nel primo decennio del 1400 le attività propriamente devozionali come funerali e messe di suffragio erano passate in secondo piano rispetto alla pratica assistenziale.
Nella città di Venezia, per scuola si intendeva sia l'edificio, che ne costituiva la sede, sia l'istituzione di carattere associativo-corporativo di antica memoria. Le Scuole (minori) erano delle confraternite laiche, associazioni di lavoratori, che sceglievano un Santo protettore e alle quali aderivano in prevalenza cittadini di ceto medio, mentre i patrizi avevano accesso solo alle Scuole Grandi.
 
veduta area

La Scuola Grande di San Rocco: pane, elemosine e case
Nata nel 1478 come scuola minore di Battuti, fu la più ricca e la più grande delle confraternite veneziane. La sede della Scuola sorse dietro la basilica dei Frari e la sua costruzione, «tutta incrostata di nobilissimi marmi & ricca di ornamenti», era la più efficace espressione della ricchezza che derivava dalla devozione popolare per San Rocco, protettore dalla peste.

Il dispendio finanziario necessario alla realizzazione dell’edificio, che durò dal 1517 al 1560, fu al centro di un pesante dibattito interno che portò al cambio degli scopi originari della Confraternita, dopo essere stata delegata dallo stato a gestire la politica assistenziale, venne vissuto come un tradimento delle originali finalità caritatevoli delle Scuole Grandi.
Tra i segni più visibili di quella «crisi di identità» si nota nell'esito formale con una sostanziale disomogeneità del manufatto (in altre parole, senza un dominante e  preciso stile architettonico).

Significativo il commento del gioielliere Alessandro Caravia, quando criticò gli sprechi per la costruzione dell’edificio, dicendo «Che meglio seria sta quei danari morti /A’ poverini haver dato conforti».

La Confraternita, in questa svolta, ebbe l'intuizione di concentrare la maggior parte dell'attività caritativa in pochi organismi dotati di ampia autonomia decisionale e contabile. Soprattutto perché si trattava di gestire un patrimonio immobiliare in continua crescita per i lasciti testamentari che prevedevano, come consuetudine, di lasciarne una parte ai poveri tramite le Confraternite stesse.



salone della Scuola Grande di San Rocco
I criteri con cui venivano assegnate le case ai più bisognosi rispondevano alla doppia natura della Scuola Grande di San Rocco, divenuta la più importante confraternita caritativa di carattere devozionale e di riferimento in tutta la città: venivano aiutate solo famiglie realmente indigenti, ma anche di specchiata moralità.

Ecco un esempio, raccontato dal Sansovino, di come intervenivano sull'uso dei lasciti: «Queste Scuole Grandi, maritano ogni anno senza alcun dubbio più di 1500 donzelle con l’entrate dei lasci de i testamenti. Dispensano similmente case, danari, farine, mantelli & altre cose alla povertà per notabil somma d’oro, perciochè ogn’una d’esse fraterne ha di rendita intorno a cinque ò sei mila ducati di stabili & di poderi».

La selezione dei poveri avveniva per estrazione sulla base della loro appartenenza alla Confraternita, in quanto confratelli «di disciplina» (cioè sottoposti agli obblighi cerimoniali), sovvenzionati dai confratelli ricchi che, in quanto «exenti» dalla «disciplina», erano sottoposti al finanziamento delle attività caritative, tramite il pagamento annuale di una quota di iscrizione («luminaria»). 
Le abitazioni venivano assegnate a chi poteva garantire uno stile di vita coerente con il carattere religioso della Confraternita, dimostrare di avere una famiglia numerosa ed indigente ed inoltre si impegnavano a non subaffittare l'immobile concesso.  
In pratica chi poteva beneficiare? La famiglia  numerosa,  vedove  e  terziarie  francescane,  piccoli artigiani e marinai in pensione o veterani delle galee arruolati dalla stessa Scuola Grande su ordine dello Stato e successivamente "premiati" con la concessione di un appartamento.
I numerosi casi di processi intentati contro gli affittuari dimostrano quanto queste clausole fossero oggetto di una costante vigilanza da parte dei dirigenti della Scuola; le accuse erano di solito: immoralità, falsa testimonianza o subaffitto.

Scuola Grande dei Carmini
L’amministrazione statale, demandando la gestione delle più fasce povere della popolazione alle Scuole Grandi, da una parte teneva sotto controllo quella fetta di popolazione a rischio di indigenza; dall’altra, attraverso la costruzione di grandi complessi edilizi (condomini-quartieri), di fatto usufruiva della collaborazione delle Scuole nella manutenzione delle reti infrastrutturali di canali, fondamente e calli, oltre alla definizione delle periferie della città. 
La gestione dei lavori dei complessi edilizi ed il coordinamento tra i vari cantieri era affidata ad un'unica regia del proto (architetto  e  capocantiere) che dipendeva dalla Scuola.
In questo modo era possibile un razionale impiego in contemporanea delle maestranze che potevano essere spostate da un cantiere all’altro, secondo le diverse fasi ed esigenze di lavorazione del manufatto; inoltre si poteva gestire il materiale da costruzione in maniera centralizzata. 

La Confraternita era molto attenta nella gestione del proprio patrimonio immobiliare, l'esempio viene dalla Scuola della  Misericordia che metteva in affitto due appartamenti per finanziare i lavori di manutenzione di altre 19 case destinate ai poveri.
La Scuola Grande di Santa Maria della Misericordia fu una scuola di Battuti attiva dal 1308 al 1806. Nei primi anni '40 è stata sia palestra che campo di gioco della mitica Reyer pallacanestro

Nel corso del 1500 i nuovi lasciti testamentari a favore della Scuola Grande di San Rocco si concentravano sulla concessione di doti per giovani fanciulle povere. In alternativa consentivano alle putte indigenti di farsi monache oppure sposarsi con giovani poveri.
Scuola Grande di San Giovanni Evangelista
Durante lo stesso secolo, la Scuola Grande di San Rocco ridisegnò una vera e propria rete assistenziale per i propri confratelli indigenti per coprire tutti i loro bisogni materiali attraverso l'assegnazione di case, elemosine periodiche, distribuzione di generi alimentari e di medicine.
Numerosi erano i confratelli impegnati nei cantieri della Scuola che ricevevano doti per le figlie e elemosine di varia natura, come il muratore Venturino di Bertoni, braccio destro del proto Antonio Scarpagnino, che nel 1531 ottenne un indennizzo di ben 30 ducati a seguito di un incidente di cantiere («per esser storpiado de una man») e poi, dopo quattro anni, di un ulteriore premio di 20 ducati, per essere riuscito in una complicata opera di consolidamento del portico sul canale.
All'interno delle Scuole Grandi esistevano confratelli "specializzati" nella gestione di alcune attività come i proto Giovanni Allegri o Nicolò dalla Croce nell'edilizia o Francesco Gratarolo, dotor in legge, impegnato a rappresentare o a difendere la Scuola nelle immancabili controversie legali.


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