IL SAPONE LA CERA E LO ZUCCHERO BENI PER POVERI E "SIORI"



PRODOTTI DI LUSSO E DI MASSA:
il sapone, la cera, lo zucchero.
Quando il "Fatto in Venexia" era una voce importantissima per la bilancia economica della Serenissima come i prodotti di largo consumo o i mobili, la ceramica, il vetro, la seta, gli strumenti musicali e la stampa dei libri.



laboratorio artigiano per la produzione di sapone


IL SAPONE
Nel medioevo iniziò l’abitudine di non lavarsi!  
Forse a causa della credenza che lavarsi facesse male, infatti si era diffuso il concetto che l’acqua a contatto con la pelle portasse malattie ed epidemie (soprattutto quelle che decimarono le popolazioni in Europa). Greci e Romani conoscevano il sapone, simile a quello odierno, ma non lo usavano per lavarsi forse perché troppo aggressivo per la pelle. Per pulirsi avevano altri metodi.

Tra il 1200 ed il 1300 i saponifici veneziani costituirono uno delle attività più importanti della produzione manifatturiera della città.
I commercianti veneziani, entrando in contatto col mondo orientale islamico, già prima delle Crociate, s'impadronirono delle tecniche di fabbricazione di un sapone poco aggressivo (rispetto quello prodotto allora), con l’impiego di grassi vegetali, aromi e sostanze lenitive quali il balsamo.  
Il sapone si diffuse in Europa per merito dei mercanti veneziani e genovesi, e dame e gentiluomini europei, pur di procacciarselo, erano disposti a pagare cifre molto alte.
Nonostante il successo che riscontravano i prodotti “made in Venezia”, già nel 1391 l'Arte dei saponi cominciava a soffrire della concorrenza di altre città, non ultima Ancona, che avevano strappato quote di mercato rilevanti.
Nel XIV° secolo il settore non era costituito solo da numerose e piccole attività, prevalentemente a conduzione familiare, ma anche da grosse società, come quella costituita nel 1389 fra il nobile Pietro Marini, Rolando Ognibene e Pietro Dolze, con un capitale di 20.000 ducati d'oro.
Il peso politico ed economico della corporazione dell’Arte dei saponi obbligò la Repubblica nel 1489, per tutelare le sue aziende, ad emettere delle restrizioni per proibire la produzione del sapone fuori di Venezia.
Sempre verso la fine del 1400, il senato rilevava che erano sorti alcuni saponifici sia a Gaeta che a Gallipoli grazie alla maggiore disponibilità di olio e di ceneri, oltre a costi di produzione molto più bassi di quelli veneziani. Nel Cinquecento per produrre 18.000 libbre di sapone servivano circa 6.000 libbre di olio, 3.000 libbre di soda di Siria e 1.500 di soda egizia, ottenute dalla combustione di piante ricche di sostanze alcaline e gettate nella caldaia al fine di procedere alla cotta finale.
 Sia l'olio che le ceneri, importate a Venezia, erano soggette ad una regolamentazione piuttosto severa, oltre che pesante sotto il profilo fiscale, tanto da minacciare tra il XV° ed il XVI° sec. la chiusura delle manifatture per la scarsa redditività che iniziava ad avere l'intero comparto.
Dal XVI° secolo la produzione di sapone sbarcò in Spagna dopo aver attraversato la Francia meridionale.
Molte città europee si vantarono di essere state le prime a dare origine alla produzione di sapone: Marsiglia, Savona, Gallipoli, Genova etc. Inoltre presso le popolazioni di lingua inglese, il sapone prodotto a partire dall'olio d'oliva venne detto Sapone di Castiglia e quindi gli si attribuisce una origine del tutto spagnola. Fino alla rivoluzione industriale il sapone era prodotto in laboratori artigianali in piccole quantità. Dal 1790 con la scoperta del procedimento per ottenere la soda, grazie ad un medico-chimico francese, venne aperta la strada alla produzione industriale del sapone.

 Agli inizi del XVII° secolo in laguna erano rimasti attivi solo 17 “stabilimenti”, con 40 caldaie, comunque tutti destinati ad un rapido declino fino alla loro totale chiusura nell’arco di un centinaio d’anni.

LA CERA
Sappiamo ben poco sulla lavorazione a Venezia della cera e la produzione di candele. 
Una cosa è certa, veniva importata allo stato greggio dalla penisola balcanica, quindi lavorata per poi essere riesportata per usi domestici e religiosi. Dati abbastanza certi (nel 1591 si contavano nella città lagunare ben 23 impianti artigianali) si hanno agli inizi del 1600 secondo cui i cereri, esportando 1/4 della cera grezza importata, dopo averla biancheggiata, alimentavano un florido commercio verso città come Roma, Napoli e Firenze. È molto probabile tuttavia, che i commercianti veneziani si spingessero a venderla anche in paesi molto più lontani, del nord e dell’est europeo.

 
Produzione delle candele nel 1800, in pratica è lo stesso sistema usato fin dal 1500

LO ZUCCHERO
Nel VII° secolo gli arabi acclimatano la canna da zucchero nella Valle del Nilo e in Palestina. 
Sotto la loro influenza la canna conquista ben presto la Siria, tutta l’Africa del nord, Cipro, Rodi, le Isole Baleari, poi la Spagna del sud. Grazie alle crociate la popolazione europea, a partire dal XII° secolo fanno la conoscenza dello zucchero. Scoprendo la coltura della canna da zucchero iniziano ad coltivarla in Grecia, nel Sud Italia e nel midì francese.
Questa nuova spezia viene venduta solo nelle farmacie a prezzi molto elevati.

L’etimologia della parola zucchero deriva dal sanscrito "sarkara" che significa sabbia. 

Per molti secoli Venezia lo importò dalle isole di Cipro, Creta, Sicilia, Malta, dai paesi del NordAfrica e dalla stessa Spagna per creare un prodotto raffinato e di lusso, in sintonia con le capacità di trasformazione della Repubblica. 

Molto curioso fu l’interscambio creato con l'Inghilterra agli inizi del XIV° secolo con cui si vendeva zucchero raffinato (in laguna) in cambio di lana fiamminga.
Il debito nei confronti delle tecniche orientali e soprattutto arabe era enorme: arabe risultavano le tecniche irrigue necessarie alla coltivazione della canna da zucchero; di origine araba il mulino impiegato per la macinazione della canna da zucchero, mosso dall'energia idrica o animale.

Quando la famiglia dei Corner divenne la concessionaria a Cipro del distretto di Piscopi (uno dei pochi ad essere costantemente irrigati), potenziarono la rete irrigua per aumentare la produzione della canna ed attuare la prima trasformazione del prodotto. A tal fine avevano fatto trasportare nell'isola due enormi caldaie di rame per la bollitura dei succhi.

E di ottima qualità doveva risultare lo zucchero che arrivava in laguna nelle più diverse forme (zucchero candito, violato, rosato, in polvere, in pani, in confetti) e riesportato in tutta l'area del Mediterraneo e dell'Occidente. E’ certo che fino agl'inizi del 1500 Venezia rimase “la capitale sucrière de l'Occident, marché d'importation majeur fixant les prix, et redistribuant le sucre à travers les couches sociales aisées de l'Occident chrétien”.

Nel corso del Cinque e Seicento, in coincidenza con l'affermazione di altri centri di trasformazione, grazie  all'espansione coloniale nell'area atlantica, lo zucchero, da tipico prodotto di lusso, divenne in breve tempo unbene di largo consumo, trend evidenziato a sufficienza da una produzione saccarifera decuplicata alla fine del XVI° secolo rispetto agli inizi del secolo.

Agli inizi del ‘500 fu Anversa, con le sue primi zuccherifici-raffinerie “industriali”, ad iniziare una concorrenza molto più dura di quanto Genova fosse riuscita a fare sino a quel momento avendo potuto controllare il commercio proveniente dalla Spagna (Barcellona, Granada e Valencia). In soli 39 anni, grazie alla costante e crescente domanda si aprirono ben 19 raffinerie diventando la capitale dei “raffineurs de sucre”.

Ovviamente la forte espansione della coltivazione della canna da zucchero attuata da portoghesi e spagnoli a Madeira (a partire dal 1420), nelle Canarie (all'incirca dal 1480) e in seguito nelle isole di Capoverde, favorì i porti del Nord Europa che potevano importare lo zucchero grezzo a costi di trasporto decisamente inferiori a quelli che avrebbe dovuto sostenere Venezia.

Nel 1622 i savi alla mercanzia, nel fare un quadro generale dell'import-export dello zucchero, scoprirono amaramente di aver perso non solo l'importante mercato tedesco, avendo iniziato a rifornirsi nelle Fiandre, ma pure la Lombardia, la Toscana, la Romagna ed il Regno di Napoli che trovavano più conveniente approvvigionarsi nel porto di Livorno.

Era iniziata quella lenta ma inesorabile discesa verso la crisi del XVIII° secolo che si concluse con la fine della Millenaria storia della Repubbblica anche per l’arrivo di Napoleone.

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