IL CENTRALISMO ROMANO E 16 ANNI DI RICHIESTE NEGATE

Di Edoardo Rubini

IL CENTRALISMO ROMANO RECRIMINA CHE LE REGIONI ORDINARIE POTEVANO AVANZARE LE LORO RICHIESTE GIÀ DA 16 ANNI


Balle. A restare immobile è stata Roma, non le Regioni. Allego un prospetto che dimostra come la procedura sia stata attivata ben 10 anni fa, senza ottenere risultato alcuno.
Come si spiega che nulla si sia mosso per 10 anni? Scoprirlo è facile.
Ciò deve farsi risalire al sistema vigente dagli anni 2001-2003: la riforma del titolo V ha introdotto “il federalismo a geometria variabile”, o “a costituzione invariata”.
Per dare attuazione all'articolo 116 della Costituzione, che consente di potenziare i poteri di alcune Regioni a statuto ordinario attribuendo loro certe funzioni ora svolte dallo Stato, deve seguirsi il procedimento indicato nella norma stessa.
Le “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” saranno concesse tramite legge approvata dalle Camere “su iniziativa della Regione interessata, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata”.
Vediamo, quindi, quali sono i passi da compiere: 1. la Regione interessata deve fare la proposta (la costituzione non dice come: con legge regionale?  Con delibera di Giunta regionale? Di Consiglio regionale?); 2. parere degli enti locali interessati; 3. Stato e Regione interessata devono raggiungere l’intesa sulla base di quella proposta; 4. Lo Stato approva il tutto con legge del Parlamento.
Orbene, le Regioni hanno seguito l’iter con diligenza, ma lo Stato reagisce nel più classico dei modi in uso presso la massoneria romana: non risponde mai.
È un po’ esoterico… Solo di recente il governo ha mandato le sue letterine a palazzo Balbi, quando si è accorto che c'era il referendum alle porte (cioè, quando si è accorto che stava cadendo il suo sporco gioco).
Ciò, peraltro, risponde ad una saggezza antica in uso presso i Levantini: il massimo risultato con il minimo sforzo.
Ecco il loro atteggiamento decodificato in parole chiare: “Ti tratto come una spazzatura, così capisci da solo le cose: cioè che tu non vali niente perché potere non ce n’hai; capisci che con me non hai speranza, infatti ho messo su un sistema dove puoi scaldarti e darti da fare quanto vuoi, tanto i risultati reali che conseguirai saranno sempre pari a zero; comunque, non seccarmi con le tue rivendicazioni inutili, fattene una ragione, sei il mio schiavo”.
Questo è il concetto romano di “lealtà istituzionale”, seguito anche nella riforma del titolo V da parte del centro-sinistra: l’impianto del nuovo sistema aveva il suo perno nella Conferenza Stato-regioni, che non ha mai funzionato.
Il governo ha sempre fatto ciò che ha voluto, infischiandosene degli obblighi giuridici di consultazione preventiva delle Regioni: tutto si è sempre ridotto ad inutili balletti di riunioni e in giri di carte fatti pochi giorni prima di convertire i decreti-legge in parlamento.
La possibilità delle Regioni di incidere sui provvedimenti si è così ridotta a zero.
Questo ha portato allo scoppio del meccanismo che il legislatore costituzionale aveva escogitato per garantire l’equilibrio del sistema: la possibilità di ricorrere alla corte costituzionale entro 60 gg. sia da parte del governo, sia da parte delle regioni, per le leggi che si assumeva violassero le rispettive competenze.
È andate a finire che la corte costituzionale è stata sepolta viva da un contenzioso gigantesco, perché lo stato italiano sa solo comportarsi da canaglia: le regioni, per non farsi mettere i piedi in testa, fanno ricorsi a tamburo battente e spesso – colmo della beffa – vincono pure in giudizio.
Prova ne sia che la riforma renziana - bocciata il 4 dicembre 2016 - prevedeva di abrogare questo sistema di garanzia per le regioni, lasciando a Roma licenza di uccidere, come per 007; ma, com’è noto, gli è andata male.
Così è fallita la riforma del titolo V partorita dal centro-sinistra, che – com’è noto – rappresenta la parte colta, evoluta e democratica di questo stato, a cui noi Veneti, zoticoni e arretrati, ci inchiniamo umilmente. i regime, cosiddetto PD, con il sig. Bressa in testa, ha avuto sempre l’unica e sola preoccupazione di mantenere privilegi e posizioni di rendita; la tattica è sempre quella di creare regole che Roma può applicare a modo suo, destinate ad impiccare chiunque non faccia il suo gioco.
Unica eccezione nel centrosinistra, fino ad oggi, l’unica ad essersi spesa pubblicamente a favore del suo popolo, è stata la Senatrice Simonetta Rubinato (PD), che il 5 maggio del 2016 dichiarava: “La Consulta ha ribadito che il referendum consultivo è uno strumento di raccordo tra il popolo e le istituzioni rappresentative ed assolve alla funzione di avviare, influenzare o contrastare processi decisionali pubblici. E ha specificato che per questo si colloca in una fase anteriore ed esterna rispetto al procedimento prestabilito all’art. 116 della Costituzione. Dunque coloro che sostengono che la consultazione referendaria sull’autonomia debba essere fatta al termine
del negoziato tra Governo-Regione, non ha le idee chiare o non ha fiducia negli strumenti di democrazia diretta”.
Quanto sopra è confermato dal fallimento di tutti i tentativi avutisi in 16 anni di applicare l'articolo 116 della Costituzione: non solo sono falliti i tentativi della Regione del Veneto, ma anche di Lombardia, Piemonte e Toscana, che si sono mossi in tempi diversi, ma con i risultati preventivati dal copione romano: cioè il nulla di fatto.
Seguono links dove sono documentate le richieste di Lombardia, Piemonte e Toscana di dare applicazione all'articolo 116 della Costituzione:

Lombardia: https://www.diritto.it/la-regione-lombardia-verso-l-intesa-con-il-governo-per-l-attuazione-dell-art-116-cost-terzo-comma-una-breve-nota/


Piemonte: https://www.regione.veneto.it/static/www/decentramento-e-federalismo/xstamperiaDocumentonelleregioni.pdf

Commenti