IL VENETO E UN DEBITO MAI PAGATO DALL'ITALIA
Oggi vi parlo di quanto è successo da noi, con la guerra in casa nella prima guerra mondiale, e i disastri immani conseguenti. Con l'euforia della "vittoria" Roma capitale e il resto degli italiani, ottenebrati da una stampa di regime, che spacciava un'immagine falsa della nostra terra, ignorandone i problemi enormi irrisolti, si auto convinsero che il problema Veneto non esisteva. Ecco quanto scrisse la Gazzetta Trevigiana in risposta alle menzogne del corrispondente del "Popolo Romano" l'11 settembre 1919, che dipingeva un paesaggio idilliaco. Meditate Veneti, meditate.
Il fascismo mise poi la pietra tombale sui nostri problemi.
"Noi Veneti siamo forse un po' particolaristici, e forse per tradizione storica siamo un po' abituati alla nostra caratteristica regionale, cominciamo a credere di essere stati dimenticati dal resto dell'Italia, dimenticati dagli Italiani.
Dalla guerra che ha sconquassato il Veneto, si ricorda il Piave..., si ricorda Vittorio Veneto, con l'apoteosi della vittoria. Ma il Veneto campo di battaglia della guerra sterminatrice è un'immagine lontana: le sue rovine, le sue sventure, la crisi di spirito che la travaglia, la miseria che lo insidia, sono cose ignote per il resto dell'Italia (...) E così noi abbiamo sentito scendere sui nostri dolori e le nostre sventure, poco a poco l'indifferenza e l'oblio.
E in genere, quando se ne parla, sentiamo parlare delle cose nostre con la tranquilla indifferenza di chi crede che ormai nel Veneto tutto sia stato medicato e che le conseguenze della guerra non siano ormai che un ricordo.
Anche il "Popolo Romano" (giornale) ha una visione rosea. Quel suo corrispondente non ha visto per es. la vastissima zona del lungo Piave.. Non ha visto che in essa i campi sono tutt'altro che coltivati perché mancano i buoi e gli strumenti di lavoro perché i campi continuano a celare ad ogni passo insidie di morte.
Che la popolazione vive agglomerata spaventosamente in baracche dove abitano insieme parecchie famiglie, in promiscuità spaventevole dove si fa di tutto: dalla cucina alla cura del pollaio.
Che la gente ritorn non trovando più casa, mentre splendeva il cielo sereno, e il clima era mite, s'è rassegnata a dormire sotto poche frasche, o sotto rottami raccolti. Ma che ora con l'inverno alle porte, se non vorrà morire, dovrà riprendere la via dell'esilio.
Che ci sono rovine di case in cui famiglie intere, non protetette ne riparate dalla piova (sic) intristiscono miseramente.
Che i rifornimenti scarseggiano e manca spesso il pane. Che l'igiene pubblica è assolutamente dimenticata.
Che certi paesi non hanno più nulla: né case, né botteghe, né Chiesa e per fare i più umili acquisti la povera gente deve sobbarcarsi percorsi lunghi e faticosi. Che tutta questa povera gente ha perso al fede ed è scoraggiata ed avvilita non potendo lavorare. Sì, dove ha potuto l'operosa gente veneta si è messa a lavorare, ma vi sono troppi luoghi dove non ha potuto.
Sì, i campi biondeggiano, ma vi sono territori sterminati e un dì fertilissimi, dove quest'anno non è stato seminato un chicco di frumento. "
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