VENEZIA E I BALCANI: IL MITO RESISTE, ECCO I MOTIVI.
Il mito e il ruolo di Venezia: un breve riepilogo.
Che cosa sia il mito di Venezia nelle terre balcaniche è un argomento che non abbiamo il tempo di trattare oggi e che d’altronde credo sia ampiamente noto a tutti i presenti. Basterà dire, in estrema sintesi, che tale mito trae origine da diversi fatti storici, sia pure trasfigurati in varia misura: la giustizia di Venezia, che è vista come potenza protettrice dei propri cittadini dall’arbitrio dei nobili e dei potenti e, per citare un vescovo balcanico, come “rettissimo dominio, esemplare di ogni più venerabile libertà” (è il vescovo bulgaro Petar Parcevič, nel 1673).
Questo giudizio, che è tutto sommato valido per tutto il dominio veneto – basti pensare al sentimento filoveneziano delle plebi venete e lombarde, che è plurisecolare e dimostrato dal 1509 al 1797 – si somma, per quanto riguarda i Balcani, ad altri giudizi più specifici: da un lato Venezia è la potenza sotto le cui bandiere, nella guerra di Candia, Morea e non solo, hanno combattuto gli hajduk.
Venezia è per secoli l’antemurale della cristianità contro i turchi nei Balcani e le terre governate e difese da San Marco sono quelle in cui si può rifugiare quel fiume che fugge dai Balcani; sotto Venezia e combattendo per Venezia, soprattutto, si forma la prima rudimentale coscienza di popolo, se non proprio di nazione, di quei popoli.
È scegliendo Venezia che i popoli slavi dell’entroterra balcanico, almeno quelli più a ridosso del confine e che hanno la possibilità di emigrare e di cambiare bandiera, fanno la prima consapevole affermazione di sé e della propria identità. Ed è infine Venezia a garantire, pur nella sua decadenza e nell’approccio sostanzialmente imbelle degli ultimi decenni, un secolo di pace e di sviluppo economico, che verrà poi largamente mitizzato e che resterà molto a lungo nella memoria degli ex sudditi.
Questo discorso vale un po’ per tutto il territorio balcanico, o per meglio dire adriatico-orientale, della Repubblica; ma vale in particolare, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo economico del Settecento, per il Montenegro, o meglio per le Bocche di Cattaro, come evidenziato dal professore e ambasciatore Sbutega in diversi suoi interventi, in particolare in quello nella conferenza di Venezia del novembre 2012, e nel suo fondamentale volume sulla storia del Montenegro.
C’è da aggiungere inoltre che è proprio nel Settecento, e dunque sotto il dominio stabile e universalmente riconosciuto e accettato di Venezia, che l’Europa “scopre” la Dalmazia, per usare la definizione assai azzeccata di Larry Wolff. C’è dunque un legame sia interno che esterno tra l’identità degli abitanti dei Balcani e la repubblica di Venezia, sia per come questi si definiscono, sia per come costoro vengono percepiti all’esterno dall’intellighenzia illuminista e ottocentesca dell’Europa occidentale. Venezia e il suo ex territorio balcanico costituiscono insomma un insieme riconosciuto, stabile, e visto da tutte le parti come ottimo.
Il monaco francescano e poeta croato Andrija Kačić Miošić arriva a parlare verso la metà del Settecento di «onorato, tranquillo e paradisiaco stato, nel quale ci troviamo sotto lʼala del nostro Serenissimo Principe». La definizione è forte, ma dice molto sul clima diffuso non più solo tra gli strati popolari e sulla creazione di un mito.
D’altronde un’altra prova della persistenza di un mito e della sua intoccabilità è la politica notoriamente molto rispettosa dell’eredità veneta che fu perseguita per tutto l’Ottocento, e parzialmente anche fino al 1914, dall’Impero Asburgico, che volle presentarsi come erede e continuatore della Repubblica, rispettandone i simboli e le sensibilità. Venezia è insomma un mito positivo, ancora nell’Ottocento, per tutti: per la popolazione ex suddita, sia nell’attuale Croazia (e Slovenia) che in Montenegro, per le nuove autorità, per gli osservatori esterni.
Un fatto, tipicamente montenegrino, va forse riaffermato: in Montenegro uno stato locale, o quantomeno un’entità autonoma e quasi indipendente, è stata resa possibile solo grazie all’aiuto, all’influenza, all’esempio di Venezia e al costante interscambio con i suoi domini bocchesi.
Questo farà forse un’enorme differenza rispetto alla Croazia, dove non nasce un potere locale.
IL RUOLO DI VENEZIA NELLA STORIA DEL MONTENEGRO E NELLA SUA SCELTA EUROPEA. Di Tommaso Giancarli (atti online del Convegno “Dalla Guerra alla Pace nell’Adriatico: 1914-2016)
Che cosa sia il mito di Venezia nelle terre balcaniche è un argomento che non abbiamo il tempo di trattare oggi e che d’altronde credo sia ampiamente noto a tutti i presenti. Basterà dire, in estrema sintesi, che tale mito trae origine da diversi fatti storici, sia pure trasfigurati in varia misura: la giustizia di Venezia, che è vista come potenza protettrice dei propri cittadini dall’arbitrio dei nobili e dei potenti e, per citare un vescovo balcanico, come “rettissimo dominio, esemplare di ogni più venerabile libertà” (è il vescovo bulgaro Petar Parcevič, nel 1673).
LEONE MARCIANO a Kotor, Cattaro |
Questo giudizio, che è tutto sommato valido per tutto il dominio veneto – basti pensare al sentimento filoveneziano delle plebi venete e lombarde, che è plurisecolare e dimostrato dal 1509 al 1797 – si somma, per quanto riguarda i Balcani, ad altri giudizi più specifici: da un lato Venezia è la potenza sotto le cui bandiere, nella guerra di Candia, Morea e non solo, hanno combattuto gli hajduk.
Venezia è per secoli l’antemurale della cristianità contro i turchi nei Balcani e le terre governate e difese da San Marco sono quelle in cui si può rifugiare quel fiume che fugge dai Balcani; sotto Venezia e combattendo per Venezia, soprattutto, si forma la prima rudimentale coscienza di popolo, se non proprio di nazione, di quei popoli.
È scegliendo Venezia che i popoli slavi dell’entroterra balcanico, almeno quelli più a ridosso del confine e che hanno la possibilità di emigrare e di cambiare bandiera, fanno la prima consapevole affermazione di sé e della propria identità. Ed è infine Venezia a garantire, pur nella sua decadenza e nell’approccio sostanzialmente imbelle degli ultimi decenni, un secolo di pace e di sviluppo economico, che verrà poi largamente mitizzato e che resterà molto a lungo nella memoria degli ex sudditi.
CATTARO |
Questo discorso vale un po’ per tutto il territorio balcanico, o per meglio dire adriatico-orientale, della Repubblica; ma vale in particolare, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo economico del Settecento, per il Montenegro, o meglio per le Bocche di Cattaro, come evidenziato dal professore e ambasciatore Sbutega in diversi suoi interventi, in particolare in quello nella conferenza di Venezia del novembre 2012, e nel suo fondamentale volume sulla storia del Montenegro.
C’è da aggiungere inoltre che è proprio nel Settecento, e dunque sotto il dominio stabile e universalmente riconosciuto e accettato di Venezia, che l’Europa “scopre” la Dalmazia, per usare la definizione assai azzeccata di Larry Wolff. C’è dunque un legame sia interno che esterno tra l’identità degli abitanti dei Balcani e la repubblica di Venezia, sia per come questi si definiscono, sia per come costoro vengono percepiti all’esterno dall’intellighenzia illuminista e ottocentesca dell’Europa occidentale. Venezia e il suo ex territorio balcanico costituiscono insomma un insieme riconosciuto, stabile, e visto da tutte le parti come ottimo.
Il monaco francescano e poeta croato Andrija Kačić Miošić arriva a parlare verso la metà del Settecento di «onorato, tranquillo e paradisiaco stato, nel quale ci troviamo sotto lʼala del nostro Serenissimo Principe». La definizione è forte, ma dice molto sul clima diffuso non più solo tra gli strati popolari e sulla creazione di un mito.
D’altronde un’altra prova della persistenza di un mito e della sua intoccabilità è la politica notoriamente molto rispettosa dell’eredità veneta che fu perseguita per tutto l’Ottocento, e parzialmente anche fino al 1914, dall’Impero Asburgico, che volle presentarsi come erede e continuatore della Repubblica, rispettandone i simboli e le sensibilità. Venezia è insomma un mito positivo, ancora nell’Ottocento, per tutti: per la popolazione ex suddita, sia nell’attuale Croazia (e Slovenia) che in Montenegro, per le nuove autorità, per gli osservatori esterni.
Un fatto, tipicamente montenegrino, va forse riaffermato: in Montenegro uno stato locale, o quantomeno un’entità autonoma e quasi indipendente, è stata resa possibile solo grazie all’aiuto, all’influenza, all’esempio di Venezia e al costante interscambio con i suoi domini bocchesi.
Questo farà forse un’enorme differenza rispetto alla Croazia, dove non nasce un potere locale.
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