L'ADRIATICO VENETO; UN MONDO PERDUTO.. OPPURE NO?



Dal blog di Davide Ubizzo, brani un vecchio articolo:

Una terra di confine, di guerre, dagli Istri ai Romani e da Bisanzio ad Aquileia nell’antichità, dal modello veneto a quello asburgico nell’epoca moderna e attraverso l’esodo infine alla Yugoslavia e ai terribili anni ’90 del ‘900.
Le due regioni dell’ex Venezia Giulia – cioè il Goriziano, il Triestino, l’Istria e la città di Fiume al termine orientale dell’arco alpino – e la Dalmazia, la regione costiera dell’Adriatico orientale che si sviluppa tra il mare e i monti retrostanti del Quarnero sino alle Bocche di Cattaro – sommano la ricchezza e la complessità delle regioni di confine fra i diversi mondi geografici, etnici, culturali in un crocevia di culture: quella germanica, la latina e la slava. 

Il peculiare carattere culturale è probabilmente l’unico tratto distintivo capace di fornire quel comune denominatore che l’area politica e sociale adriatica pare aver dimenticato; un mondo perduto appunto, fatto di pietre calcaree e rovere, marinerie e navi, di commerci e scambi, marine assolate e fitti boschi mediterranei, di gusti semplici e forti, fatto di terra rossa e di mare trasparente, di tradizioni e consuetudini, di piatti e di dialetti.“Venezia e poi l’Austria, combinandosi al sangue della stirpe illirica, aveva costruito una specialissima razza d’uomini. Un innesto di Mediterraneo e Mitteleuropa.” Scrive Paolo Rumiz. 

La costa adriatica orientale presenta una certa omogeneità etnico culturale e linguistica, di costume e di tradizioni artistiche e urbanistiche. Non dovuta a processi di colonizzazione, quanto alla progressiva sedimentazione di una storia comune. Perfino Trieste, Fiume e Ragusa, sostanzialmente mai appartenuta alla Repubblica, erano venete nella loro identità sostanziale e mai appartenuta alla Repubblica, erano venete nella loro identità sostanziale ed espressive a conferma che non c’è stata vera imposizione.” ( P. Scandaletti, Storia dell’Istria e della Dalmazia- Edizioni Biblioteca dell’immagine 2013) 

In questo quadro geografico più o meno dalla metà del 1200 al 1797 la Serenissima ha saputo coltivare, gestire e alimentare la sua peculiare specificità culturale veneta i cui influssi e le cui reminiscenze oggi, pur nel disorientamento e nel rimescolamento successivi al 1947, appaiono ancora, seppur sbiaditi, nella memoria e nei luoghi delle terre adriatiche. Come scriveva Fulvio Tomizza “Cinque secoli di civiltà non si cancellano. Persino nei villaggi croati dell’interno si continua a mangiare, lavorare le viti, oziare e giocare alla veneta.” (F. Tomizza, Destino di frontiera, Marietti 1992)

“Venezia in particolare è presente nelle pietre dei selciati, nella grazia dei palazzetti gotici, nei numerosissimi leoni di S. Marco (oltre centosessanta esemplari documentati essenzialmente lapidei), nella linea dei campanili, ville e abbazie, nei poderosi castelli costruiti da nobili veneziani, nonché nella dolce parlata istroveneta, quel dialetto istro-romanzo che purtroppo sta scomparendo, man mano che muoiono gli anziani e sempre meno esso viene pronunciato dalle ultime generazioni bilingui.” ( Irma Sandri Ubizzo, Istria: scatti d’amore – Alci
one Editore 200
.)

In Istria si incontrano tantissime cose. Due mondi, le Alpi e il Mediterraneo; tre lingue, italiana, slovena e croata; e i segni forti di tre dominazioni: Roma che ha lasciato una grandiosa arena nella città di Pola; Venezia, che per secoli in Istria ha avuto basi commerciali costiere – Pirano, Rovigno e altre – sulle rotte del mare d’Oriente; e infine l’Impero d’Austria, che su quella penisola strategica ha costruito porti e ferrovie ancora in funzione, che si è dissolto con la prima guerra mondiale.” ( P. Rumiz, A piedi – Feltrinelli 2012)

Negli anni ’90, in uno dei frequenti viaggi familiari, ebbi l’occasione di visitare Cherso e nella piazza della cittadina omonima fummo avvicinati da un anziano del posto che sentendoci parlare in veneziano ci raccontò, in un purissimo dialetto chersino ( che dopo di allora non sentii più), che da giovane aveva a lungo navigato tra l’isola e Venezia a bordo di un burcio ( o forse un trabaccolo ) che trasportava legna da rivendere nella città lagunare. Un pezzo di storia, una delle tante storie.

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