LE SPOLIAZIONI NAPOLEONICHE E IL CANNONE ANCORA "PRIGIONIERO" A PARIGI

Di "Ecce Leo"

I furti napoleonici o spoliazioni napoleoniche sono una serie di furti di beni, in particolare opere d'arte, effettuate durante le conquiste militari di Napoleone Bonaparte.
Napoleone attuò nel campo dei beni culturali una politica di spoliazione delle nazioni vinte, appropriandosi di opere d'arte dai luoghi di culto e dalle collezioni private delle famiglie nobili che, a scopi propagandistici, trasferiva in prima battuta nel palazzo del Louvre di Parigi dove il Direttorio aveva creato, nel 1795, il Musée des Monuments Français, oltre che in altri musei di Francia.
Con la successiva Campagna d'Italia del 1796/97 portò in Francia altre decine di migliaia di capolavori nonchè opere d'arte, grazie all'armistizio di Cherasco (1º maggio 1796) e con il trattato di Tolentino (22 gennaio 1797).Stessa sorte toccò la Repubblica di Venezia, dichiaratasi fin dall'inizio della Campagna d'Italia neutrale e successivamente, ahimè, anche disarmata... Dunque durante la sua neutralità, la Venete Repubblica fu derubata di centinaia di opere d'arte, manoscritti, depredata di tutto quello che era trasportabile (perfino dei chiodi degli infissi). Il corso Bonaparte, per vendicarsi delle rivolte antifrancesi, meglio conosciute come Pasque Veronesi, nonché dell' "affondamento" del tartanone "Il Liberateur d'Italie" dichiarò formalmente la guerra tra i due stati il 1 maggio 1797, che si concluderà non con la caduta di Venezia come tanti "studiosi" scrivono, ma con un passaggio di consegne tra il governo aristocratico e quello provvisorio.
E qui inizia la fine, la nostra fine, con una sistematica spogliazione, effettuata da una apposita commissione francese campeggiata da Monge, Berthollet, Berthélemy e Tinet. Infine prendono la via per la Francia anche leone di bronzo della piazzetta San Marco e i quattro cavalli della basilica, quali prede di guerra. Buona parte delle opere trafugate sono citate nel Tomo X della storia di Venezia del Romanin.
Non dimentichiamoci dell'arsenale, qui non solo furono affondati/bruciati/depredati i vascelli in costruzione, ma anche inviati in Francia quelli pronti e armati. Con una metodica furia distruttrice si asportano e si fusero oltre 5.000 cannoni facenti parte dell'armeria - museo, nonché le armi antiche che trovavano posto nelle sale vecchie del Magistato all'Artiglieria. Disposte a "festone con gran arte, simmetria e bellezza" tra cimeli, armature di capitani illustri ritratti e quant'altro.
I cannoni e le petraie, sia in ferro e in rame, le palle ammucchiate a piramide simmetriche costituivano il vanto delle armerie della terraferma e delle conquisti nelle varie battaglie, orbene poche di queste rimasero intatte e risultano ancor oggi in mostra in alcuni musei francesi.
La mia visita all' Hôtel National des Invalides conosciuto come Les Invalides, un vasto complesso architettonico, costruito, per volere di Luigi XIV, per accogliere ed assistere gli invalidi di guerra, oggi di ospita anche il celebre Musée de l'Armée. Il Museo dell’Esercito, tra i più grandi musei d'arte e di storia militare del mondo, conserva armi provenienti da tutto il mondo, armature antiche, modelli di artiglieria di piccole dimensioni, ricordi di generali famosi, documenti e dipinti. 
Tra questi famosi armi da fuoco, spiccava un cannone in bronzo di fattura veneziana, da 36 libre non destinato ad uso militare, la cui la mancanza degli orecchioni, cosa tipicamente nostrana, mi ha permesso d'individuarlo subito in mezzo alla numerose artiglierie.
la cartellistica presente lo identifica fuso per celebrare l'alleanza tra il regno di Danimarca e di Norvegia e la Repubblica di Venezia, i cui emblemi sono stati posti ad ornamento dell'arma stessa. 
Il cannone i questione porta la data di fusione, sulla culatta, con la numerazione romana: Anno Salutis. MDCCVIII. (Anno Salutis, spesso tradotto dal latino come "nell'anno di grazia" o "nell'anno della salvezza", è una espressione equivalente ad Anno Domini, perché per il cristianesimo la nascita di Gesù segnò l'inizio della salvezza).
Per "orecchioni" si intendono le due protuberanze laterali della bocca da fuoco, tramite le quali essa veniva "incavalcata" sull'affusto. Gli orecchioni erano disposti all'incirca sul baricentro della bocca da fuoco per ovvi motivi di stabilità. Questa disposizione permetteva una scarsa escursione in elevazione che però era sufficiente al tiro diretto a corta distanza, unica possibilità di allora.
Infine nella sale interne non poteva mancare la classica schiavona... classificata come arma bianca "ItaGliana"...


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