LA GRANDE GUERRA PER LA LIBERTA'...VERSO IL DISASTRO


In previsione dei festeggiamenti italiani per il centenario della cosiddetta grande guerra, pubblichiamo un punto di vista diverso e competente che analizza i fatti nella loro cruda bassezza. Ci sembra giusto dire che non si dovrebbero, festeggiare milioni di morti inutili e milioni di famiglie lacerate per il solo interesse di pochi ...

di Moreno Catto e Edoardo Rubini


Di solito la “Grande Guerra” è presentata come una vittoria italiana, ma si trattò di una rovinosa sconfitta militare, maturata nel più crudele scontro militare della storia veneta, appena dissimulata dall’essersi l’Italia schierata per tempo dalla parte del vincitore.  Le battaglie combattute sul campo costarono alle truppe italiane centinaia di migliaia di perdite; nei primi due anni di combattimento, il Capo di Stato Maggiore Luigi Cadorna lanciò una serie di assalti inconcludenti, che fruttarono conquiste territoriali irrisorie ed inutili.


Le prime undici battaglie dell’Isonzo furono tragedie che spesso ricalcavano lo stesso copione, la notte prima degli assalti si usava ubriacare la truppa, per dare loro all’alba il coraggio di avanzare di corsa in spianate senza riparo, ma il fuoco delle mitragliatrici nemiche non lasciava scampo. Il comando austriaco, invece, ottenuto un successo parziale con la Strafexpedition sull’Altipiano di Asiago, nell’autunno 1917, progettò una micidiale manovra in combinazione con quello tedesco, le cui truppe erano affluite dal fronte orientale, abbandonato dai Russi a seguito della Rivoluzione d’ottobre.
La battaglia di Caporetto fece crollare il fronte italiano, entrando negli annali della storia militare come esempio di collasso fulminante di un intero esercito moderno. Sorpresi dalla tempesta di fuoco e di gas asfissianti, i contingenti italiani presto perdettero i contatti ed il coordinamento così, una volta accerchiati, buona parte degli effettivi schierati sul fronte carsico e su quelle retrovie fu catturata con le proprie dotazioni.


Per salvarsi, i soldati italiani sopravvissuti si sbandarono, vagando assieme ad una marea di profughi civili sotto la pioggia battente: solo alcune colonne poterono raggiungere il Veneto, in condizioni disperate. Se non fossero intervenute le truppe inglesi e francesi di rinforzo e non fossero affluiti rifornimenti dagli Stati Uniti, sarebbe stato impossibile fermare l’avanzata asburgica. Ad ogni modo, la guerra che iniziò nell’attuale territorio sloveno, si concluse sulla linea del Piave, a un tiro di schioppo da Venezia, che infatti fu evacuata d’urgenza.

Il Regno d’Italia entra nella guerra in corso da un anno

La guerra esplose a seguito dell'assassinio dell'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono della Corona d’Austria-Ungheria, e di sua moglie Sofia, durante una visita ufficiale a Sarajevo. L’attentato avvenne 28 giugno 1914 e fu organizzato da una società segreta, la Mano Nera, una setta gnostica e rivoluzionaria pilotata dai servizi segreti serbi, che infatti contava numerosi affiliati tra gli ufficiali militari ed i funzionari di quel governo.

Gli agenti sovversivi erano stati inseriti in un gruppo dal nome mazziniano di Mlada Bosna, cioè Giovane Bosnia, che aveva la funzione di staccare la Bosnia dall’Austria-Ungheria per farla annettere al Regno di Serbia. Gli attentatori dovevano sparare addosso alla coppia principesca mentre passava a bordo della propria automobile, durante un giorno di festa nella capitale bosniaca.


Il "gruppo di fuoco" degli attentatori era composto da sette individui armati con quattro rivoltelle e sei bombe a mano ed erano in combutta con altri terroristi, che nel contempo provocarono disordini nei dintorni; la gente della Bosnia era in massima parte fedele agli Asburgo, tanto che cercò di linciare gli attentatori. Le trame internazionali fecero in modo che a dichiarare guerra fosse una potenza che in realtà era stata aggredita con la feroce esecuzione degli eredi al Trono; siccome la Triplice era un patto difensivo, il Regno d’Italia poté sottrarsi all’obbligo di scendere in campo.

Quando il conflitto deflagrò nel 1914, la Corona dei Savoia si dichiarò neutrale (Vittorio Emanuele: “l’Italia di fronte al conflitto desidera rimanere in pace con tutti”) e stette ad osservare l’incendio che divampava con l’intento di trarne profitto per espandersi ed emergere come potenza mondiale. Essendo questi i suoi scopi, non mantenne gli impegni internazionali assunti dal 1882 nella Triplice Alleanza (Austria-Prussia-Italia).


Il Re Vittorio Emanuele III fece aprire canali diplomatici e trattative con le potenze belligeranti. Già nel mese di ottobre il Ministero degli Esteri, barone Sidney Costantino Sonnino, aveva cominciato a tastare il terreno per capire dove conveniva buttarsi; il 5 novembre 1914 Vittorio Emanuele III preparò il terreno ai futuri sviluppi con l’affidamento dell’incarico per il nuovo governo ad Antonio Salandra.

Si comincia il 9 dicembre, quando si aprono le trattative segrete tra l’Italia, affamata di acquisti territoriali, e l’Austria, disponibile a concessioni, a patto che Roma se ne stia fuori dal conflitto. In quella sede l’Italia pretende il Trentino, l’intero Litorale del Nord Adriatico, parte della Dalmazia e altri possedimenti austriaci. L’ Austria-Ungheria, da parte sua, sa che qualcosa dovrà cedere, ma le richieste dell’Italia vanno oltre: smembrare i territori dell’Austria-Ungheria rischierebbe di mettere fine all’Impero.

L’Italia non si ritiene soddisfatta e il 16 febbraio 1915 a Roma apre le trattative con l’Intesa (Francia, Inghilterra, Russia) per verificare la possibilità di unirsi agli alleati, purché questi le facciano ottenere ingenti guadagni territoriali.  Il 26 aprile il governo arriva a firmare il Trattato di Londra all'insaputa del parlamento.  Con esso l’Italia s’impegna ad entrare in guerra a fianco delle potenze occidentali - entro un mese e non oltre il 26 maggio – con il patto che i nuovi alleati, a guerra conclusa, appoggeranno l’Italia nelle sue pretensioni. La Francia e l’Inghilterra facevano un’altra concessione politica di gran importanza: riconoscevano all’Italia il diritto di estendere i suoi possedimenti in Eritrea, Somalia e Libia.

Fu adottata una dichiarazione che impegnava Francia, Inghilterra e Russia a sostenere l’Italia nel frapporre tutti gli ostacoli possibili alla Santa Sede, quando quest’ultima avesse sviluppato un’azione diplomatica per metter fine al conflitto. Così, si tacitava in partenza la Chiesa Cattolica, unica voce che avrebbe potuto fermare i massacri: infatti, il patto con l’Intesa impegnava gli stati firmatari a non concludere una pace separata durante tutto il conflitto. Il “sacro egoismo” (così lo chiamava Salandra) andava ben oltre le zone “irredente” che l’Italia rivendicava, poiché parecchi di questi territori non erano neppure di lingua italiana.

Dal 26 aprile al 20 maggio il parlamento fu tenuto all’oscuro delle decisioni concordate tra Vittorio Emanuele III, Salandra e Sonnino. Solo il 4 maggio 1915, con i crismi dell’ufficialità, l’Italia abbandonava a sorpresa la Triplice Alleanza.  A Roma molti parlamentari allarmati dalla denuncia degli accordi spinsero, infatti, Giolitti a produrre tentativi per tener fuori l’Italia dall’inferno bellico. Giolitti si muove ed il 9 maggio incontra Salandra ed il Re; fa notare loro l’ostilità popolare alla guerra ed il fatto che “l’esercito e i suoi generali non sono all’altezza della situazione, inoltre la guerra sarebbe stata lunga, non vittoriosa”, mentre con la neutralità si poteva ottenere “parecchio”.

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