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il fiume Zero imbrigliato dai benedettini |
Furono i benedettini, che operarono non solo nel padovano, ma in tutto il territorio veneto. Io ebbi la fortuna di abitare per molti anni in un rustico che fu un loro monastero fattoria. Da quel casolare, alle porte di Preganziol (Tv), essi ripresero le culture, probabilmente arginarono lo Zero, e fecero tornare la vita in terre abbandonate da secoli. Realizzarono così il loro motto ORA ET LABORA, concedendo anche i campi in mezzadria a condizioni molto vantaggiose ai poveri contadini, trasformandoli in imprenditori agricoli. Eccovi un bell'articolo comparso sul Gazzettino.
Un’opera difficile e grandiosa, che nei secoli ha trasformato il territorio padovano (e il Veneto in genere ndr): le bonifiche dei monaci benedettini hanno reso coltivabile una palude, trovando il giusto compromesso tra il rispetto della natura e le necessità dell’uomo. Un modello che i monaci, in occasione della prima Giornata nazionale del Paesaggio, indetta dal ministero dei Beni Culturali, hanno voluto ricordare con una giornata di approfondimento, a Santa Giustina a Padova.
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il rustico che restaurammo, nei primi anni '80
A raccontare la storia dell’impresa benedettina non un monaco, ma un’anziana maestra dalla grazia antica e di un’autorevolezza d’altri tempi: Girolama Borella, maestra emerita di Correzzola, da sempre impegnata per la valorizzazione e la salvaguardia dei beni architettonici e artistici di Correzzola. «I benedettini» spiega «arrivarono nel 1129. L’area che si estendeva tra i corsi terminali del Bacchiglione e dell’Adige era una valle paludosa e disabitata: si allagava frequentemente, c’erano piante e animali selvatici, insetti portatori di malattie, fra cui la malaria. I monaci per prima cosa cercarono le persone: per capire i loro problemi, le necessità e le paure. Quindi stesero un piano per la salute del territorio: oggi lo chiameremmo un “piano regolatore”».
Prima di tutto arrivò la bonifica: un argine per contenere le alluvioni e canalette di scolo per drenare l’acqua di troppo, rendendo i terreni coltivabili. I monaci, quindi, «affittarono i terreni a famiglie coloniche: alcuni erano della zona, altri arrivavano perfino dal milanese. Avevano un campo, una stalla e un contratto buono, secondo cui dovevano dare ai monaci solo un terzo del raccolto, quando la mezzadria imponeva la divisione a metà. Se andava male, poi, il contributo veniva condonato, ed anzi erano i monaci ad aiutare le famiglie. Chi non viveva nel territorio dei monaci abitava in case di legno, malsane: i casoni».
Oggi le tracce di quella rivoluzione silenziosa sono ancora visibili: Correzzola è ricca di terreni agricoli, tutt’ora produttivi, e la Corte
benedettina è ancora un esempio di monumentale struttura di raccolta. Su questa vicenda è stato realizzato un prezioso documentario “Benedettini e Bonifiche” realizzato nel 1982, restaurato dalla Cineteca di Bologna e presentato ieri a Padova nel corso dell’incontro.
Silvia Quaranta
17 marzo 2017
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