LA TRAGEDIA DI ARSIA, LA MARCINELLE DEGLI ISTRIANI CHE NESSUNO RICORDA
Mi segnala l'amico Gino Pozzobon ed è un pugno nello stomaco di istriani e veneti:
La tragedia di Marcinelle la conoscono tutti. Il giorno anniversario, l'otto di Agosto, si tengono celebrazioni ufficiali, alte autorità depongono corone d'alloro, risuonano gli inni nazionali e in Italia non c'è giornale che non dedichi un servizio alla memoria dei 136 minatori italiani che nel 1956 persero la vita nelle gallerie della miniera di carbone in Belgio.
Il nome di Arsia, invece, non dice nulla a nessuno. Eppure proprio lì, ad Arsia, in Istria, a neanche cinque chilometri dalla frequentata località turistica di Albona, a un giorno di barca da Venezia, avvenne la più grande tragedia mineraria nazionale: il 28 Febbraio 1940 morirono 185 minatori, tutti italiani.
Ed è, la terribile storia di Arsia, un'altra delle storie dimenticate d'Italia, un altro zainetto di dolorosa memoria negata che pesa nel cuore degli italiani d'Istria. Perché a decretare la cancellazione della tragedia di Arsia dalla memoria collettiva sono state le stesse cause che per decenni hanno negato la verità delle foibe e la tragedia degli esuli d'Istria e di Dalmazia.
Fu inizialmente il Fascismo a imporre la censura. La miniera di Arsia, vanto dell'ingegneria italiana, non doveva venir "diffamata". Pochi giornali italiani, nel 1940, diedero la notizia della tragedia, e tutti con articoli succinti, di poche righe, tacendo il numero dei morti o scrivendo numeri molto inferiori alla realtà. E quando, pochi anni dopo, finita la guerra, finì l'era fascista, era finita anche l'Istria italiana, consegnata alla Jugoslavia, che sterminati o cacciati gl'italiani sostituì la popolazione cancellando e negando ogni traccia del passato italiano. Alle famiglie bosniache che Tito aveva insediato ad Arsia nelle case degli italiani, non importava nulla della tragedia di Arsia. Meno ancora importava al regime jugoslavo: i morti erano tutti italiani, quindi tutti nemici, tutti presunti fascisti.
A restituirci la memoria, è un romanzo di Antonio Venturin, «Manca Lorenzo Buffon: Istria, Arsia e altre tragedie dimenticate».
È un romanzo, ma la trama s'innesta su uno scenario di fatti molto ben documentati. D'altronde ad Arsia, come in tutta la storia veneziana e italiana d'Istria, quand'anche tacessero gli uomini, parlerebbero le pietre: perché Arsia fu costruita dal nulla. Il carbone, nel bacino di Arsia, si cavava dai tempi della Serenissima. Ma la nuova città mineraria fu inaugurata il 4 Novembre del 1937, dopo appena un anno e mezzo di lavori. Lo studio Pulitzer di Trieste progettò e costruì la città dei minatori in pura architettura razionalista. La chiesa, dedicata a Santa Barbara, patrona dei minatori, ha la forma di un carrello da minatore rovesciato, e il campanile è una gigantesca lampada da miniera. Non era una piccola città, Arsia: nel 1937 superò i diecimila abitanti - tutte famiglie di minatori arrivate lì dall'Istria, dal Veneto, dalla Lombardia, dalla Sardegna e dalla Toscana - e le gallerie nel carbone si sviluppavano per più di 160 chilometri, fino a 350 metri sotto terra. Era il più grande bacino carbonifero d'Italia.
La miniera scoppiò alle 4 e 30 del mattino. Fu un botto spaventoso, che fece tremare la terra, udito a chilometri di distanza. Crollarono diversi livelli di gallerie, i minatori furono seppelliti o asfissiati dal gas, ci vollero molti giorni per estrarre i corpi dei morti e dei vivi, molti dei quali morirono in pochi giorni, all'ospedale. Non si seppe mai con sicurezza la causa dello scoppio, ma secondo i carabinieri, dopo l'inizio della guerra le misure di sicurezza in miniera erano state ridotte per aumentare la produzione di carbone. Nel libro di Venturin si ricorda la figura di un minatore triestino, Arrigo Grassi, che salvò una decina di colleghi calandosi ripetutamente e senza maschera nelle gallerie invase dal gas micidiale sprigionatosi dallo scoppio, e morì da eroe.
Solo da pochi anni, grazie a un'associazione triestina e alla disponibilità delle autorità istriane, si tiene ad Arsia, il 28 di Febbraio, una cerimonia di ricordo delle vittime. E solo da quest'anno, per iniziativa di Venturin, la cerimonia vedrà la partecipazione ufficiale del governo italiano, rappresentato dal senatore Mario Dalla Tor, e della Regione Veneto, con il consigliere Sandro Sandri. Nella copertina del volume di Venturin, anche una cosa che fa male: un ritaglio del Gazzettino del 1956, con la notizia della tragedia di Marcinelle data a sette colonne in prima pagina, e tanto di scheda con l'elenco delle «più gravi catastrofi minerarie del XX secolo». C'è la tragedia di Grosseto, del 1954, che causò 42 morti. C'è quella di Zwickau, in Sassonia, 47 morti, e c'è Zongouldak (Turchia) con altre 47 vittime, e c'è persino Calcutta, con i suoi 35 morti. La tragedia di Arsia con i suoi 185 cadaveri non c'è: l'Istria, la nostra amata Istria veneziana, nel 1956 era già terra di nessuno.
© riproduzione riservata Il Gazzettino
Giovedì 26 Febbraio 2015
Ho visitato Arsia, Carpano e la zona bonificata del Cepich circa 15 anni fa, ma della tragedia sono venuto a conoscenza solo in seguito.
RispondiElimina