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IL TAGLIACARTE CON SAN MARCO NELLE MANI DI UN BIMBO NEL 1955

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Più o meno era quell'anno. La mia mamma, la Iride, insieme alle sorelle Teresina e Cesira, (i nomi dal sapore antico delle donne venete di un tempo) decisero di fare una gita, dalla campagna padovana, fino a Venezia, luogo mitico che io avevo sentito solo nominare in famiglia con un misto di ammirazione  rispetto. Era il loro modo di festeggiare il 25 aprile. Abitavamo in via san Marco, in una laterale di essa, nei pressi di Ponte di Brenta, e il giorno di san Marco, nella campagne di allora, era sentito ancora come festa popolare, che invano cercavano di coprire con la "Festa della Liberazione" anche se papà era un comunista (dopo una gioventù fascista, ovvio) in cas asi festeggiava san Marco. Di quella gita, nel ricordo, è rimasto il sapore di una città da fiaba, ancora dei veneziani, così strana e esotica, ma anche così "nostra". E anche il souvenir che mi portai a casa, un tagliacarte che la mamma mi comprò  in una bancarella, certamente non prodotto in

SULLE TRACCE DEL TURCO A PARENZO

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A Parenzo, nel triangolo magico dell'Istria, per scoprire quanto ancora resista la memoria di Lepanto fino quassù, sul fondo dell'Adriatico PAOLO RUMIZ ci incanta di nuovo... Parenzo, sera viola, un'osteria della città vecchia, squadriglie di rondini attorno alla basilica bizantina, un'aria d'Oriente che fa a pugni con le divise troppo americane dei poliziotti croati. Annotiamo sulla nostra mappa quanto abbia viaggiato la leggenda del turco, anche qui, in fondo all'Adriatico. Capodistria, una colonna a memoria di Lepanto e del contributo istriano alla battaglia. San Donà di Piave, festa con processione il 7 ottobre in nome della Madonna del Rosario. Casarsa, Pasolini che scrive i " Turcs tal Friul ", un evento del 1499, con quell'urlo terribile nella pianura: "A è la muart ch'a ni speta cà intor!", è la morte che ci aspetta qua intorno. " Dut cà intor sarà distrùt, sparit, dismentiàt. E tu, Verzin beada. Tu, ch'i ti ve

LA VITA TRIBOLATA DEL "PARON", IL CAMPANILE DI SAN MARCO

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Il 14 luglio 1902 crollò il campanile di san Marco, e parve porre fine a secoli di "triboli" di cui si parla nella nota, ma per fortuna all'incuria seguì la ricostruzione "come era e dove era": simbolo di una Venezia che non vuole morire, malgrado tutto. Antonella Todesco ci racconta: Nel 1653 il campanile ebbe "dal fluido celeste" ( fulmine ) alcuni danni, riparati da Baldassarre Longhena. Nel secolo XVIII furono parecchi i rifacimenti per danni dei turbini e delle saette. Il 23 aprile 1745, l angolo che guarda la torre dell' orologio fu per metà squarciato da un fulmine, e le macerie travolsero, uccidendoli, quattro infelici che avevano ai suoi piedi la loro bottega. Nuove e gravi lesion i furono provocate da altri due fulmini, uno caduto nel 1761 e l altro l anno successivo. Nel 1776 il campanile fu munito di un parafulmine, l idea e il disegno furono dell' Abate Giuseppe Toaldo. Il parafulmine, dall' angelo dora

CARLO LOTTIERI METTE IN GUARDIA I VENETI

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Leggevo ieri di una dichiarazione di Carlo Lottieri, così attento e partecipe alla causa dell'autonomia veneta, in cui si percepiva un certo fastidio per lo slogan che va per la maggiore: PRIMA I VENETI!. Egli avvertiva che se il Veneto avesse ottenuto l'indipendenza, ogni comunità del suo nuovo stato avrebbe avuto a sua volta il diritto di staccarsi.  E citava la costituzione lussemburghese. Par quasi che per paradosso, il pensiero "liberal" del Lottieri neghi ogni idea di Nazione e ogni entità chiamata stato basata su valori e storia comune. Io direi che le nazioni sono sempre esistite, come espressione dei popoli, ma vi fu una cesura tra Nazione e popoli in essa rappresentati con l'invenzione dello Stato Moloch attuale, di deriva francese, in cui veniva imposta una lingua, una cultura e una storia a tutti, annullando ogni tendenza difforme. Anche con la violenza. Dalle stragi dei vandeani, allo sterminio di etnie diverse nel Novecento, persino all'impo

L'AVV. FOGLIATA SUL GAZZETTINO, PER L'AUTONOMIA DIFFERENZIATA

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Caro Direttore, i nodi vengono al pettine. A seguire con attenzione il dibattito in corso sull'autonomia del Veneto vengono i brividi. Dopo aver sbraitato e starnazzato per anni di incostituzionalità di ogni prospettiva di libertà, ora, che Luca Zaia ha trovato una via che corrisponde all'esatta applicazione di una norma della Costituzione, l'italietta getta la maschera e mostra il suo vero volto autoritario. Tra coloro che temono di perdere antichi fiumi di finanziamenti a pioggia, o posti pubblici ricolmi di privilegi, e coloro che svelano la realtà delle loro incrostazioni ideologiche, tra piccoli e grandi boiardi di Stato e consorterie di interessi, il siparietto, se non fosse disgustoso, sarebbe spassosissimo. Che, in barba alla tanto (ed ingiustificatamente) idolatrata Costituzione, i Ministeri alzino un muro per mantenere il baraccone è triste, ma è purtroppo comprensibile. Che si faccia "ora e sempre resistenza" per non cedere su infrastrutture

"LA PAGHETA" DEL DOGE CHE NON BASTAVA MAI

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Una ricerca di Antonella Todesco ci permette di focalizzare le differenze tra la classe politica di allora, e i trafficoni di oggi. Allora era un onere affrontato per spirito di servizio, ora è ben diverso,purtroppo. Altro che "oligarchi tiranni" ! Nei primi tempi sembra che il Doge si mantenesse al pari degli altri cittadini esercitando il commercio ed in più avvalendosi di alcune rendite statali. In seguito gli fu assegnata una vera e propria lista civile, che gli veniva pagata trimestralmente. Fu sempre molto esigua e perciò erano necessarie grandi ricchezze all eletto affinché potesse degnamente sostenere il dogado. Fu di 1800 lire d oro annue al principio del 1200, con alcune regalie, poi di 2000, di 3000 di 4000 e di 5500 dopo Francesco Dandolo. Negli ultimi tempi tante erano le spese che le rendite bastavano appena a coprire i festeggiamenti per la sua elezione. Per il pagamento della lista civile erano devoluti alcuni tributi di terre e città soggette

LA CACCIATA DEI GESUITI E LA NUOVA SCUOLA PUBBLICA VENETA

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Dalla cacciata dei Gesuiti, accusati di intromissione  nelle decisioni del governo, riceve un grande impulso la riforma della scuola pubblica, affidata  a Gaspare Cozzi, riforma che mostra grandi affinità con i sistemi educativi odierni.  Questo poneva lo stato veneto all'avanguardia anche in quel settore della pubblica istruzione, specie in Italia. Riprendo quanto riporta Distefano nel suo "Atlante storico della Serenissima". 1773: Scioglimento dei Gesuiti a Venezia. Con tale soppressione vengono istituite delle scuole medie laiche mentre i collegi dei Gesuiti sono convertiti in scuole pubbliche.  In particolare, a Venezia, si riformano le scuole elementari, affidando il compito a Gaspare Gozzi, le scuole de sestiere sono trasformate da scuole di grammatica latina  in scuole primarie, dove si si insegna  a leggere e a scrivere, a far di conto, e il disegno.  Gasparo Gozzi, letterato famoso,  era stato incaricato nel 1770 di studiare e suggerire una riforma

ANCHE LA MADONNA CONOSCE IL "CAO DE AN" VENETO. A MOTTA.

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NELL'ULTIMO NUMERO DI VENETO VOGUE, un godibile e commovente articolo di Davide Lovat ci narra dell'apparizione della Madonna a un umile contadino di Motta di Livenza, il giorno 9 marzo. All'epoca della Serenissima, per tutti i Veneti, fin dai tempi più antichi, il Capodanno (Cao de an) si festeggiava a marzo ignorando così il calendario in uso anche oggi, che l'impero romano aveva riformato. Questa Madonnina, in forma e nelle vesti di fanciulla,  si rivolge a Giovanni Cigana, padre di sei figli, cresciuti cristianamente, e abituato a recitare da 20 anni ogni giorno il Rosario. E gli parla nella dolce lingua veneta: al saluto del contadino " Dio ve dia el bon dì" Lei infatti risponde: "Bon dì e bon ano, homo da ben!" Il colloquio prosegue e la fanciulla misteriosa pare conoscere ogni pensiero e problema recondito del    Cigana, il quale alla fine cade in ginocchio e capisce di aver di fronte la Madonna a cui lui tanto era fedele e che t